La parte assente in mediazione può farsi rappresentare da un terzo munito del potere di rappresentanza?

 Tribunale di Roma, ordinanza 12.3.2018 – Est. Moriconi.

Commento a cura dell’avv. Giuseppe Ruotolo. Per giurisprudenza di merito pressoché costante, in mediazione occorre la presenza dell’avvocato e della parte.

La parte, persona fisica, inoltre, deve essere presente personalmente e non farsi rappresentare da un terzo munito del potere di rappresentanza (salvo casi eccezionali di impossibilità giuridica o materiale a comparire di persona).

Il mandato, difatti, necessita, per la sicurezza del mandante, del mandatario e del terzo, di istruzioni e poteri certi, chiari e ben delineati. Ciò rende assai problematica la difficoltà di ammettere in via generale la rappresentanza della persona fisica in mediazione.

In primo luogo per le valutazioni, ponderazioni e scelte del tutto discrezionali e non facilmente preventivabili a monte che il soggetto presente si trova ad assumere nel corso degli incontri di mediazione.

In secondo luogo non può essere trascurata la circostanza che solo la parte conosce realmente e profondamente quali sono i suoi interessi, quali quelli fermi ed irrinunciabili e quali quelli che tali non sono. Come dire che solo la parte personalmente è portatrice delle necessarie e complete conoscenze degli interessi che muovono il suo agire. L’eventuale paragone con quanto accade nella causa dove il difensore può essere specificamente dotato di poteri dispositivi non regge in quanto l’elemento fondamentale che distingue la transazione giudiziale dalla più frequente conciliazione in mediazione è l’assenza, in questa procedura, dei limiti segnati, nella sede giudiziale, dalla causa petendi e dal petitum.

In terzo luogo, la sottoscrizione (di una procura) non autenticata può essere facilmente messa in discussione dal titolare del diritto, assente in mediazione, che non abbia condiviso (o abbia ripensato la convenienza del)l’accordo negoziato e raggiunto in suo nome dal rappresentante.

Si deve pertanto ritenere che la necessaria partecipazione personale, non delegabile a terzo soggetto, salvo casi eccezionali, è insita nella natura stessa delle attività da compiere e implicita ed ineludibile nella corretta interpretazione del decr.lgsl.28/2010

Modifiche al codice deontologico: rafforzato l’obbligo di sostenere la mediazione

Nella Gazzetta Ufficiale del 13 aprile scorso sono state pubblicate alcune modifiche apportate dal CNF al codice deontologico forense.

Tra le novità, all’art. 20, viene previsto che la violazione dei doveri e delle regole di condotta imposti dalla legge o dalla deontologia, costituisce illecito disciplinare ai sensi dell’art. 51 comma 1 della legge professionale.

All’art.27, comma 3, tra i “doveri di informazione” previsti all’atto del conferimento dell’incarico, oltre al già presente obbligo di informare chiaramente la parte assistita, per iscritto, della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione, si affianca il nuovo obbligo di informarla della possibilità di avvalersi della negoziazione assistita.

L’avvocato, poi, deve altresì informare la parte dei percorsi alternativi al contenzioso giudiziario, pure previsti dalla legge.

Gazzetta Ufficiale del 13.4.2016

La mediazione delegata va avviata concretamente e il mediatore può formulare una proposta anche in assenza di congiunta richiesta

  Tribunale di Siracusa, ordinanza 15.5.2018 – Est. Rizzo.

Commento a cura dell’avv. Elisa Fichera. Nella mediazione c.d. “delegata” l’obbligatorietà non deriva dall’oggetto/materia della controversia, ma da una valutazione operata dal giudice in relazione alla potenziale “mediabilità” della lite. Ne deriva che il vaglio sulla possibilità di avviare la mediazione non può essere operato dalle parti al primo incontro informativo previsto dall’art. 8 del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, poiché esso è già stato fatto dal giudice stesso prima di decidere di demandare la promozione della procedura.

Per questi motivi le parti devono, già in sede di primo incontro, iniziare immediatamente la discussione in ordine ai profili di merito della controversia e il mediatore può avanzare una proposta conciliativa, pur in assenza di congiunta richiesta delle parti ex art. 11, co. I d.lgs. 28/2010.

Se il compito del mediatore si riduce a verbalizzare la volontà delle parti, la mediazione si intende svolta?

 Tribunale di Santa M. Capua Vetere – sez. Caserta, ordinanza 06.4.2018 – Est. Bianco.

Commento a cura dell’avv. Giuseppe Ruotolo. Non può ritenersi correttamente svolta la mediazione quando il mediatore chiude negativamente il primo incontro limitandosi a prendere atto della volontà delle parti dichiarata a verbale (ad esempio, quando per il convenuto “non vi sono i presupposti della mediazione”, l’istante “prende atto della mancata volontà del convenuto” e il mediatore “preso atto delle dichiarazioni delle parti dichiara esaurita la fase del primo incontro”). Il mediatore, nell’invitare le parti e i loro procuratori a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione, deve verificare se vi siano i presupposti giuridici e di fatto per poter procedere (come può essere, per esempio, una delibera che autorizza l’amministratore di condominio a stare in mediazione, un’autorizzazione del giudice tutelare per unminore oppure la presenza di tutte le parti in caso di litisconsorzio necessario).

Ciò significa che la funzione del mediatore non può risolversi nel chiedere alle parti se vogliono procedere, poiché il legislatore non ha detto che egli deve verificare la “volontà” delle parti e dei procuratori, ma invitarli a esprimersi sulla “possibilità” di iniziare la procedura di mediazione, aggiungendo che procede con lo svolgimento non “se le parti vogliono”, ma “nel caso positivo” della svolta verifica (rif. art. 8 d.lgs. 28/2010).

Mediazione, sempre necessaria la presenza personale della parte?

  Tribunale di Treviso, sentenza 25.5.2018.

Commento a cura dell’Avv. Guido Trabucchi. All’incontro col mediatore le parti devono partecipare personalmente, laddove è testualmente prevista la regola della necessaria dualità soggettiva (” le parti devono partecipare con l’assistenza dell’avvocato”).

Pur avendo presente il diverso e consistente orientamento secondo cui la partecipazione in mediazione costituisce attività personalissima che la parte non può delegare al difensore, pena pronunzia di improcedibilità della domanda (Trib. Vasto 9 marzo 2015, Trib. Pavia 9 marzo 2015, Tribunale di Ferrara, 28.7.2016, Trib. di Firenze 19 marzo 2014), il tribunale di Treviso ritiene di non aderire ad un orientamento così rigoroso, atteso che, in particolare ove si controverta di situazioni giuridiche di natura patrimoniale, nulla osta a che la parte rilasci un’apposita procura speciale a terzi o allo stesso avvocato, conferendo a costoro poteri di rappresentanza sostanziale da esercitare in seno al procedimento di mediazione.

La mediazione non esperita e il difetto di mediazione non rilevato dal giudice di primo grado rendono improcedibile il giudizio di appello?

 Corte di Appello di Ancona, sentenza 23.5.2017 – Est.Pastore.

Commento a cura dell’Avv. Massimiliano Paolettoni. Se nel primo grado di giudizio le parti non esperiscono la mediazione e il giudice non rileva, d’ufficio, la improcedibilità della domanda, il giudice del gravame può dichiarare improcedibile l’appello.

Secondo la Corte, la tempestiva rilevabilità d’ufficio dell’improcedibilità per difetto di mediazione è obbligatoria per il giudice di primo grado, trattandosi di un indefettibile presupposto per l’inizio o la prosecuzione del processo.

Ne deriva che, indipendentemente dalle doglianze delle parti, laddove essa non sia stata tempestivamente e ritualmente rilevata, non possa ritenersi precluso al giudice d’appello di apprezzarne, d’ufficio, l’insussistenza, anche in termini di validità.

Al giudice del gravame non è poi consentito sanare d’ufficio il vizio di procedibilità mettendo le parti in condizione di sanare l’omessa o irrituale mediazione. Per tali motivi la pronunzia di merito di primo grado è nulla e la domanda d’appello improcedibile.

La banca rifiuta l’assistenza dell’avvocato in mediazione: procedura irregolare e sanzioni irrogate dal giudice anche alla prima udienza

 Tribunale di Vasto, ordinanza 9.4.2018 – Est. Pasquale.

Commento a cura del dott. Fabio Felicini. La banca non può presentarsi al primo incontro di mediazione (obbligatoria) a mezzo di un proprio delegato e rifiutare di farsi assistere da un avvocato in violazione delle prescrizioni del D.Lgs. 28/2010, che impongono alle parti l’obbligo di assistenza legale per tutta la durata della procedura di mediazione.

Innanzitutto va chiarito che a seguito del D.L.21 giugno 2013 n. 69, con cui è stato introdotto l’obbligo dell’assistenza legale durante tutta la procedura di mediazione, va emergendo una nuova figura professionale – quella dell’avvocato esperto in tecniche di negoziazione che assiste la parte in mediazione – che si distingue dalla figura tradizionale dell’avvocato esperto in tecniche processuali che rappresenta la parte nel processo.

Al professionista in mediazione viene assegnato un ruolo centrale che è quello di accompagnare il proprio cliente nella procedura tutelando le sue pretese e i suoi interessi, da un lato, lasciando a quest’ultimo la possibilità di partecipare attivamente nella gestione del conflitto che lo vede protagonista, e, dall’altro, cercando di dissuaderlo da tutte quelle condotte elusive dell’obbligo di partecipazione effettiva alla procedura di mediazione che potrebbero avere gravi ripercussioni di tipo sanzionatorio, sia sul piano processuale che economico.

Un ruolo che è peraltro compatibile sotto il profilo dell’onerosità della procedura di mediazione, con il principio comunitario della tutela giurisdizionale effettiva e con la recente sentenza n. 457/2017 della Corte di Giustizia, in quanto non determina a carico delle parti, che devono sostenere il peso economico dell’attività di assistenza dei rispettivi legali, costi qualificati come ingenti (proprio in tal senso, il recente D.M. 37/2018, ha modificato i parametri forensi circoscrivendo la liquidazione dei compensi alle sole attività realmente svolte, in modo da limitare i costi delle procedure soprattutto quando terminano con esito infruttuoso).

Per tali motivi, l’assenza dell’avvocato in mediazione si traduce in un vizio di comparizione di uno dei soggetti necessari della procedura e ne inficia il suo regolare svolgimento, con tutte le conseguenze del caso previste dagli artt. 5 e 8 comma 4 bis del D.Lgs. 28/2010, ossia, se il rifiuto a nominare un avvocato proviene dall’istante deve ritenersi non avverata la condizione di procedibilità, mentre se proviene dal convenuto deve essere comminata la sanzione del pagamento di una somma pari al contributo unificato della causa, oltre al fatto che il giudice potrà trarre argomenti di prova dalla condotta tenuta (art.116 cpc).

Il giudice, in conformità a quanto affermato da una giurisprudenza di merito (Trib.Termini Imerese, 9.5.2012 e Trib.Mantova 22.12.2015), ben potrà irrogare la sanzione pecuniaria alla prima udienza o in un momento temporalmente antecedente la pronuncia che definisce il giudizio, non essendo subordinata alla decisione del merito della controversia.

Avvocati in mediazione: entrati in vigore i parametri per la liquidazione dei compensi

In Gazzetta Ufficiale sono stati pubblicati il 26 aprile 2018, e sono quindi entrati in vigore dal giorno successivo, i nuovi parametri per la liquidazione dei compensi per gli avvocati.

Il Decreto in questione, dell’8 marzo 2018 n. 37, appena pubblicato, concerne la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense, a parziale modifica del D.M. 55/2014.

Tra le misure più attese, vi sono l’introduzione dell’equo compenso e il compenso previsto per l’attività svolta dall’avvocato nel procedimento di mediazione e nella procedura di negoziazione assistita.

In particolare, per quanto riguarda la mediazione, i parametri utilizzati dal decreto sono riportati nella nuova tabella n. 25 bis, secondo cui il compenso viene calcolato in relazione al valore della procedura (sono previsti sei scaglioni), ed alla fase della mediazione in cui l’avvocato ha partecipato (sono previste tre fasi: attivazione, negoziazione e conciliazione).

Un ulteriore passo in avanti che risconosce l’importanza del ruolo dell’avvocato ma anche la convenienza della procedura di mediazione rispetto al processo, poiché in circa 3-4 mesi (tale è la durata media della mediazione), il legale potrebbe maturare un conguo compenso, con la previsione di forti premi in caso di raggiungimento di un accordo (difatti, per ogni scaglione di valore, il compenso previsto per l’accordo è pari a tre volte quello della fase iniziale dell’attivazione).

Seguiranno nei prossimi giorni gli opportuni approfondimenti.

Clicca qui per leggere il testo integrale in G.U.

Di seguito la tabella n.25 bis

 

Statistiche Mediazione civile: anche il 2017 conferma il ruolo centrale dell’istituto

Il Ministero della Giustizia ha diffuso il rapporto statistico sulla mediazione civile per l’anno 2017 da cui emergono novità e conferme.

Procedure iscritte in leggera flessione ma i numeri restano importanti.

Dai dati diffusi dal ministero emerge come l’andamento delle mediazioni avviate nel 2017 sia in flessione. Nel 2016 furono avviate 183.977 procedure, contro i 166.989 procedimenti iscritti nel 2017.

Si tratta di uno scostamento del 17% ma resta notevole il numero delle procedure avviate alla luce dello scarso numero di materie in cui la mediazione è obbligatoria.

Il trend, al ribasso, va di pari passo alla costante riduzione del contenzioso civile pendente e dei procedimenti civili iscritti (fonte: Sole24 ore, 24.01.2018).

Le iscrizioni e il tasso di definizione per materia.

Il contenzioso più diffuso in mediazione resta stabilmente quello bancario (18.5%) e dei diritti reali (14,8%), con in coda le successioni ereditarie (4,7%) i contratti finanziari, il comodato e i patti di famiglia.

Le percentuali si invertono se invece prendiamo il tasso di definizione per materia: al vertice abbiamo i patti di famiglia (46%), i diritti reali (38%), divisione (31%) locazione (30%), le successioni ereditarie (28%) ed in coda i contratti bancari e finanziari (6% e 10%).

A riprova che le questioni apparentemente più difficili possono essere risolte con un approccio favorevole alla mediazione da parte degli avvocati e dei clienti-utenti.

Comparizione delle parti e tasso di accordo

Con la sensibilizzazione dell’istituto della mediazione sono aumentate le volte in cui le parti decidono di aderire alla mediazione. Nel 2011 partecipava mediamente il 27% degli aderenti invitati alla mediazione mentre nel 2017 il tasso di adesione è salito al 48,2%. Le materie in cui le parti aderiscono meno sono quelle bancarie e finanziarie mentre si aderisce maggiormente nelle successioni ereditarie, nei diritti reali e nelle divisioni.

Resta sostanzialmente stabile invece il tasso raggiungimento dell’accordo quando le parti decidono di avviare concretamente una mediazione, pari al 43% (nel 2011 era pari al 43,9).

 

L’incremento delle demandate

L’aumento del numero delle mediazioni delegate è il dato che più nettamente emerge dalle statistiche.

Nel 2011 le mediazioni delegate erano 700 (l’1,7% del totale), mentre nel 2017 sono state 20.835 (il 13,4 % del totale).

Tra le delegate, la statistica ci fornisce un distinguo tra due tipologie diverse: quelle demandate dal giudice in materie non obbligatorie, dove l’accordo viene raggiunto nel 22% dei casi, e quelle demandate dal giudice per improcedibilità, in cui l’accordo è raggiunto nel 14% dei casi. E’ evidente come le indicazioni fornite dal giudice possono incrementare il tasso di raggiungimento di un accordo.

La durata della mediazione

In ultimo uno degli elementi che esalta maggiormente l’utilità della mediazione ossia la sua durata.

Mediamente, la mediazione che si conclude positivamente (ossia, con accordo) dura 129 giorni, pari a circa 4 mesi, rispetto ai circa 880 giorni necessari per ottenere una sentenza di primo grado senza contare eventuali appelli e ricorsi in cassazione.

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