La presenza personale dei mediandi

Autore: Avv. Giuseppe Ruotolo, Mediatore e Formatore a Verona, e membro del Comitato scientifico di MEDYAPRO

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Senza timore di smentita, si può dire che la discussione sulla presenza personale dei mediandi sia stato e sia ancora la più dibattuta fin dall’emanazione del d.lgs. 28/10.

Il dibattito si è ancor più acceso dopo che il D.L. 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modificazioni, dalla L. 9 agosto 2013, n. 98, ha introdotto nel co. 1-bis dell’art. 5 la precisazione secondo cui chiunque intenda esercitare in giudizio un’azione relativa a una controversia nelle materie ivi indicate deve farlo “assistito dall’avvocato” mentre con il successivo art. 8 è stato stabilito che “al primo incontro e agli incontri successivi, fino al termine della procedura, le parti devono partecipare con l’assistenza dell’avvocato”.

Ciò che nelle intenzioni del legislatore avrebbe dovuto solo rappresentare una delle concessioni fatte all’avvocatura ed al riconoscimento del suo ruolo, nel tentativo di arginare la diffidenza incontrata dalla Mediazione nell’ambito forense, non ha tardato ad essere invece interpretato come un’implicita ammissione del ruolo tout court “sostitutivo” del legale nei confronti di chi avesse voluto intraprendere un procedimento di mediazione.

Chi svolge il ruolo di mediatore dall’entrata in vigore del D.Lgs. 28/10, potrà testimoniare le difficoltà incontrate fin dai primi giorni, quando le rare adesioni trasformavano i primi incontri in un breve scambio di battute con i legali che manifestavano l’intenzione dei loro assistiti – mai presenti – di non volere proseguire…

Non c’è dubbio, allora, che un ruolo importante nel riportare il procedimento di mediazione nei giusti e legittimi binari, lo ha svolto la giurisprudenza di merito che ha sempre marcato nettamente la distinzione tra Mediazione e processo, evidenziando altresì come il Mediatore non svolga attività di ausiliario: ciò pur essendo evidente, specie nella Mediazione demandata, un’interconnessione fra il procedimento di mediazione e la causa. Si pensi In primo luogo alla condizione di procedibilità prevista dall’art. 5 commi 1 bis e 2, ma anche le conseguenze della mancata partecipazione al procedimento di mediazione senza giustificato motivo di cui all’art. 8 co. 4 bis.

Alla luce di questi orientamenti possiamo allora ricordare come sia stata puntualizzata la necessaria presenza personale dei mediandi assistiti dai propri difensori al tentativo di mediazione, come previsto dall’art. 8 d.lgs. n. 28/2010, non solo in ipotesi di mediazione delegata, ma anche in quelle di mediazione obbligatoria[1]: la natura della mediazione esige che siano presenti di persona anche le parti: l’istituto mira a riattivare la comunicazione tra i litiganti al fine di renderli in grado di verificare la possibilità di una soluzione concordata del conflitto: questo implica necessariamente che sia possibile una interazione immediata tra le parti di fronte al mediatore. L’assenza delle parti, rappresentate dai soli difensori, dà vita ad altro sistema di soluzione dei conflitti, che può avere la sua utilità, ma non può considerarsi mediazione..”[2] e come il contatto con il mediatore mediante fax, telegramma et similia non integri la condizione di procedibilità prevista dalla norma[3], o ancora che la condotta del chiamato che si limiti a rappresentare per iscritto all’Organismo di mediazione la mancata partecipazione, va interpretata come assenza ingiustificata, che la espone a conseguenze sanzionatorie, processuali e pecuniarie, previste dall’articolo 8, comma 4 bis, del Decreto Legislativo n. 28/10[4]

Sempre con l’aiuto delle decisioni dei Tribunali di merito, possiamo ricordare anche come il chiamato non possa limitarsi a non presenziare opponendo quale giustificato motivo della mancata partecipazione alla mediazione l’idea che la propria posizione sia fondata rispetto alle tesi della controparte, “poiché in tali casi ci sarebbe comunque da parte di tutti un giustificato motivo per non comparire[5].

E sulla procura rilasciata per partecipare al procedimento di Mediazione?

Vale la pena soffermarsi sulle recenti sentenze della Corte di Cassazione[6] dalle quale possono enuclearsi alcuni principi:

1) “La previsione della presenza sia delle parti sia degli avvocati comporta che, ai fini della realizzazione delle condizione di procedibilità, la parte non possa evitare di presentarsi davanti al mediatore, inviando soltanto il proprio avvocato»; “affinché possa considerarsi avverata la condizione di procedibilità rappresentata dall’obbligatorio esperimento del procedimento di mediazione, occorre che davanti al mediatore si sia effettivamente svolto un primo incontro tra le parti in senso sostanziale (ancorché concluso senza accordo) e che pertanto queste si siano fisicamente incontrate alla presenza del mediatore, con l’assistenza dei rispettivi avvocati”.

2) “la necessità della comparizione personale non comporta che si tratti di attività non delegabile. In mancanza di una previsione espressa in tal senso, e non avendo natura di atto strettamente personale, deve ritenersi che si tratti di attività delegabile ad altri….. la parte (in particolare, la parte che intende iniziare l’azione, ma identico discorso vale per la controparte), che per sua scelta o per impossibilità non possa partecipare personalmente ad un incontro di mediazione, possa farsi sostituire da una persona a sua scelta e quindi anche – ma non solo – dal suo difensore

3) «Allo scopo di validamente delegare un terzo alla partecipazione alle attività di mediazione, la parte deve conferirgli tale potere mediante una procura avente lo specifico oggetto della partecipazione alla mediazione e il conferimento del potere di disporre dei diritti sostanziali che ne sono oggetto (ovvero, deve essere presente un rappresentante a conoscenza dei fatti e fornito dei poteri per la soluzione della controversia, come previsto dal progetto della Commissione Alpa sulla riforma delle ADR all’art. 84). Quindi il potere di sostituire a sé stesso qualcun altro per la partecipazione alla mediazione può essere conferito con una procura speciale sostanziale»

4) “se sceglie di farsi sostituire dal difensore, la procura speciale rilasciata allo scopo non può essere autenticata dal difensore, perché il conferimento del potere di partecipare in sua sostituzione alla mediazione non fa parte dei possibili contenuti della procura alle liti autenticabili direttamente dal difensore…ma deve rilasciare a questo scopo una procura sostanziale che non rientra nei poteri di autentica dell’avvocato neppure se il potere è conferito allo stesso professionista”.

Resta il conflitto tra Cassazione e giudici di merito[7] sulla necessaria presenza dei mediandi, ben evidenziata da una recente sentenza del Tribunale di Roma[8] nella quale è posto l’accento sull’incoerenza dell’assunto della Suprema Corte (“come si può poi, solo perché nella legge non è stato espresso il divieto, convincentemente predicare che quello stesso legislatore abbia ammesso la valida assenza della parte personalmente?”), rimarcando al contrario come proprio i principi sanciti al precedenti n. 2) e 3) dimostrino ”… che non è necessaria un’espressa previsione legale per potersi affermare la sussistenza del divieto legale della delega a terzo soggetto dell’attività mediatoria, che la parte deve compiere personalmente”.

[1] Trib. Palermo, Ord. 16.06.14; Trib. Roma, Ord. 30.06.14; Trib. Firenze, Ord. 26.11.2014; Trib. Siracusa, Ord. 17.01.15; Trib. Vasto, Sent. 9.03.15-Trib. Pavia 18.05.15,;

[2] Trib. Firenze 19.03.15

[3] Trib. Roma, 29.09.14 –Trib. Modena, 2.5.2016

[4] Trib. Vasto 15.12.16 – Trib. Verona, 10.3.2017

[5] Trib. Roma, 29.05.14

[6] Cass. 8473 del 27/03/2019; Cass. 18068 del 05/07/2019

[7] Trib. Firenze 8.5.19; Trib. Tempio Pausania 8.5.19;

[8] Tribunale Roma 27.06.2019: “una sottoscrizione (di una procura) non autenticata può essere facilmente messa in discussione dal titolare del diritto, assente in mediazione, che non abbia condiviso (o abbia ripensato la convenienza dell’accordo negoziato e raggiunto in suo nome dal rappresentante). Come pure che il titolare del diritto (rappresentato) potrà anche nel caso in cui non rinneghi tout court il mandato, contestare un vizio (eccesso, difformità..) dell’attività del mandatario rispetto al contenuto della delega. Tali incertezze concorrono a depotenziare l’efficacia del procedimento di mediazione, allontanando l’obiettivo della stessa, cioè il raggiungimento dell’accordo. In definitiva la presenza della parte di persona è una rassicurante garanzia e tutela per le altre parti, oltre che per gli avvocati”.

Mediazione familiare (per lo più sconosciuta), “roba da ricchi e inutile perditempo?”

Autore: Avvocato Luca Cenerario, Mediatore Familiare.

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La mediazione familiare è praticata in Italia sin dalla fine degli anni ’80 del secolo scorso, in altre Nazioni già da più tempo; è una pratica diffusa a livello europeo e nei sistemi di Common-Law . Ha trovato riconoscimento in differenti testi normativi e regolamentari, ci sono manuali di riferimento, ci sono Scuole di formazione a livello universitario e centri di ricerca e formazione. Tuttavia l’impressione che emerge, ad esempio dalla lettura delle dichiarazioni di coloro che operano nell’ambito della famiglia, ed in particolare di chi professionalmente si occupa di separazioni e divorzi, è quella di una scarsa conoscenza della mediazione familiare e di una tendenza ad avversare questa pratica sulla base di conoscenze spesso errate, probabilmente per il timore di subire una “sottrazione di professionalità”. Per rendersene conto si può esaminare quanto è emerso nelle “audizioni informali” tenutesi durante l’iter parlamentare che riguarda l’esame e discussione delle disposizioni in materia di tutela dei minori nell’ambito della famiglia e nei procedimenti di separazione personale dei coniugi (XVIII Legislatura). Attualmente si sta procedendo all’esame congiunto di alcuni disegni di legge (DDL n.45; DDL 118; DDL 735; DDL 768; DDL 837) che hanno ad oggetto anche la Mediazione Familiare. A scopo informativo, proverò a mettere a confronto le informazioni che i soggetti interpellati hanno dimostrato di avere sulla mediazione con delle informazioni sulla mediazione familiare che hanno fonte in documenti scientifici, normativi e regolamentari riguardanti la materia.

La Commissione parlamentare ha udito: avvocati esperti; associazioni; magistrati; psicologi; assistenti sociali; professori; esperti. Riporto in sintesi le dichiarazioni dei professionisti ascoltati e le pongo a confronto con informazioni.

Un magistrato (Questione Giustizia, 8 novembre 2018) esprime contrarietà alla mediazione familiare perché si tratterebbe di una «previsione di meccanismi onerosi e farraginosi quali quello della mediazione obbligatoria e non gratuita».  Mette in evidenza che la mediazione obbligatoria come condizione di procedibilità è prevista solo per le famiglie unite in matrimonio. Osserva che «… come ben noto… [la mediazione familiare] presuppone la partecipazione spontanea ed emotiva di chi vi giunge…» e che «… tale meccanismo, nelle questioni familiari, è generalmente impraticabile e fallimentare, atteso che gli interessi coinvolti, personali ed affettivi in primis ed il momento storico della vita di un nucleo in cui si colloca la decisione di disgregarlo (quello specifico a cui si andrebbe a sovrapporre il percorso di mediazione) spesso richiedono opportune “distanze fisiche ed emotive” tra le parti… e la conseguente necessità di tempi e distanze ontologicamente slegate dalla possibilità di trovare meccanismi di “incontro”, spesso invece rinvenibili nel corso del giudizio, e all’esito di una lenta, fisiologica e graduale elaborazione e maturazione del fallimento e della relazione….». «… i costi della mediazione, per legge non gratuita, ed ancorati a futuri parametri in via di definizione, provocano un inutile e rilevante dispendio di energie economiche delle parti, … oltre ad un allungamento dei tempi per la separazione… in secondo luogo, in spregio ad ogni utile percorso processuale che valorizzi competenze specializzate e professionalità all’interno del giudizio, o che ancora meglio si fondi sulla terzietà dell’organo giudicante, i protagonisti di tale attività mediativa non paiono offrire evidenti e reali garanzie di competenza…».

Per la Commissione di studio Anm sulle pari opportunità «…in linea astratta il principio che il conflitto familiare non debba arrivare di norma in tribunale può essere condiviso… è evidente che l’esperienza, non solo delle aule giudiziarie, insegna che allorquando tra i coniugi vi è una alta conflittualità o, comunque, l’assenza di alcuna volontà di ricorrere ad uno strumento quale la mediazione, per sua natura “volontario”, prevedere “a pena di improcedibilità” che i due coniugi debbano ricorrere ad un soggetto privato prima  di adire il giudice non fa altro che allungare i tempi di definizione delle procedure. La mancata previsione, peraltro, di eccezioni legate a particolari situazioni familiari in cui all’interno delle mura domestiche si denuncino fatti penalmente rilevanti, denota una insufficiente ponderazione di tutti i possibili interessi rilevanti». Ulteriore obiezione: «[al mediatore] non viene richiesta alcuna competenza specifica in materia…».

In quanto attività professionale la mediazione familiare è onerosa, è vero, com’è altrettanto vero che sono onerose pure la psicoterapia, la terapia di coppia, il consueling, ed in genere gli altri procedimenti ADR. È oneroso, qualora fosse introdotto, anche il ricorso al coordinatore genitoriale che, tuttavia, la magistratura non sembra avversare particolarmente. Come giustamente rileva il magistrato questo dipende però da una mancata previsione legislativa di gratuità, che potrebbe invece essere introdotta.

Non è dato comprendere perché il meccanismo della mediazione familiare sarebbe farraginoso. La mediazione familiare è un percorso che affrontano i partner, segue un modello teorico di riferimento, è strutturato secondo un processo articolato in fasi e cadenzato. Ci possono essere impasse, ma questo si verifica anche nel corso dei procedimenti giudiziari e spesso è motivo di rinvio ad altra udienza, tuttavia ciò non aggrava il percorso perché qualora le parti non riescano a superare l’impasse il processo di mediazione termina e il mediatore familiare fa prendere consapevolezza alle parti della impossibilità di prosecuzione.

La previsione dell’obbligatorietà della mediazione solo per le coppie unite in matrimonio è un limite alla mediazione che pone il legislatore, la mediazione familiare si rivolge infatti alle coppie con figli (unite in matrimonio, unite civilmente, di fatto, coppie di famiglie ricostituite) che hanno deciso di separarsi, si stanno separando, o sono già separate/divorziate. Il limite non deriva quindi dalla pratica della mediazione familiare ma dal modo in cui è formulata la norma proposta.

È assolutamente vero che la mediazione familiare presuppone la partecipazione spontanea ed emotiva di chi vi giunge, la volontarietà è anzi un principio fondamentale della mediazione familiare, tant’è che in mancanza di una dichiarata volontà di entrambi i partner ad intraprendere il percorso di mediazione familiare e di accettarne le regole (lealtà, cooperazione, riservatezza, ecc.) il mediatore familiare professionista non dà corso all’intervento che gli viene richiesto e dà invece una restituzione negativa alle parti in termini di “non mediabilità”. La volontarietà è sempre valutata e verificata dal mediatore familiare, all’inizio e nel corso dell’intero procedimento, soprattutto nei casi di “invio”. Peraltro, l’obbligo posto quale condizione di procedibilità può risultare assolto anche all’esito dell’incontro preliminare di mediazione familiare perché mancando la volontà delle parti il mediatore deve concludere per la “non mediabilità” ma il tentativo è stato comunque esperito. Peraltro, l’obbligatorietà della mediazione potrebbe essere intesa come in Inghilterra e Galles, cioè come obbligo di incontrare il mediatore al solo fine di conoscere questa opportunità ferma restando la libertà di scelta delle parti di aderirvi o meno.

Non è assolutamente vero che la mediazione nelle questioni familiari è generalmente impraticabile e fallimentare, anzi la mediazione familiare nasce proprio per aiutare coloro che devono affrontare o stanno affrontando il dramma della separazione e le sofferenze e difficoltà del processo di separazione. Storicamente la mediazione familiare fu concepita da John Coogler come percorso alternativo all’iter giudiziario, per il raggiungimento di un accordo relativo ad ogni aspetto implicato nella separazione, e con l’obiettivo di fare avvenire la separazione nel modo meno doloroso possibile per tutte le parti coinvolte.   Il percorso di mediazione non si sovrappone al momento della disgregazione del nucleo familiare, anzi si concentra sul qui ed ora per costruire un dopo. Se c’è la volontà di entrambi i partner e si arriva al riconoscimento degli interessi coinvolti, personali ed affettivi in primis, il momento della separazione diventa un momento di dialogo e cooperazione per stabilire come gestire la separazione in base alle esigenze proprie ma soprattutto a quelle dei figli. Il punto di partenza è quello di fare riappropriare entrambi i partner del loro ruolo genitoriale, superando i conflitti personali in funzione del prevalente interesse e benessere dei figli.  Nel processo di mediazione familiare le parti hanno proprio l’opportunità di sperimentare in un circoscritto lasso di tempo (adeguato, ma non lungo), la fisiologica e graduale elaborazione e maturazione del fallimento della relazione – che invece il magistrato ritiene avvenga nel corso del giudizio – al di fuori di un ambiente caratterizzato da conflittualità e posizioni di parte spesso contrapposte. Non è detto che i tempi della separazione si allunghino, anzi potrebbero ridursi perché si arriva dal giudice con un accordo e si impiegano i tempi che intercorrono tra una udienza e l’altra per lavorare in mediazione, dove gli incontri hanno cadenza quindicinale, mentre i rinvii di udienza spesso sono di alcuni mesi.

I mediatori familiari sono ritenuti incompetenti e si ritiene invece nel percorso processuale intervengano competenze specializzate e professionalità. Sicuramente i mediatori familiari non hanno le competenze professionali degli psichiatri e neuropsichiatri infantili o degli psicologi chiamati dal tribunale a rendere una CTU valutativa delle competenze genitoriali e della situazione familiare, anzi le norme deontologiche dei mediatori familiari vietano espressamente a coloro che operano quali mediatori familiari di espletare attività proprie di altre professioni anche qualora ne abbiano le competenze. Va poi considerato che tra i mediatori familiari molti provengono dalla categoria professionale degli psicologi che – secondo il ragionamento del magistrato – sarebbero specializzati e competenti in quanto psicologi ma non quali mediatori familiari. Si trascura comunque di considerare tutta la normativa, sebbene di tipo regolamentare e non normativo, che ha chiaramente individuato e delineato i percorsi formativi dei mediatori familiari e stabilito i requisiti di competenza che questi devono dimostrare di possedere.

Per quanto riguarda la mancata previsione di eccezioni all’obbligatorietà della mediazione familiare nei casi in cui sussistano particolari situazioni familiari e all’interno delle mura domestiche si denuncino fatti penalmente rilevanti, ancora una volta non è un qualcosa che dipende dalla pratica della mediazione familiare ma da una mancata previsione di legge. Anzi, vi sono condizioni ampiamente codificate nella letteratura e nella pratica della mediazione familiare in presenza delle quali non è possibile dare avvio ad un procedimento di mediazione familiare, o addirittura non può esservi ricorso alla mediazione familiare, tra queste vi rientrano innanzi tutto le situazioni in cui si riscontri o emerga: violenza domestica; abuso; intimidazione, minaccia o squilibrio di potere. Inoltre, tra le regole codificate è stabilito che l’obbligo di riservatezza del mediatore non è assoluto, deve perciò essere chiarito alle parti che qualora il mediatore ritenga che un minore o un adulto rischi un danno significativo deve informare le competenti autorità.

L’avvocato esperto, in audizione ha dichiarato che: «La mediazione familiare è una prassi che deve essere diffusa ma non deve essere resa obbligatoria perché funziona bene quando entrambi i protagonisti sono convinti della sua utilità. Il ricorso a questo strumento non deve intralciare il corso del giudizio: ci sono molti casi non mediabili rispetto ai quali è indispensabile e urgente l’intervento del giudice».

Certamente la mediazione non funziona se non è voluta dalle parti, già si è detto, ma si è anche detto che l’obbligatorietà potrebbe essere intesa e disciplinata come in Inghilterra e Galles dove l’incontro con il mediatore è obbligatorio per fare conoscere alle parti l’alternativa della mediazione, così contribuendo alla diffusione di questa pratica, ferma restando la libertà delle parti di decidere se aderirvi o meno. Per quanto riguarda l’intralcio al corso del giudizio, come detto sarà il mediatore a riscontrare situazioni di non mediabilità o impasse e porre termine al procedimento rimettendo le parti al giudice. Non può però mancarsi di considerare che alcune volte le situazioni di abuso e violenza emergono proprio nel contesto della mediazione, in un ambiente esterno e neutrale rispetto alle aule giudiziarie, dove la parte riesce a raccontare o comunque manifestare segni di un disagio nascosto. La preparazione professionale dei mediatori prevede una specifica formazione per sapere accogliere i segnali di disagio delle parti e cogliere situazioni di maltrattamento o abuso.

L’avvocato esperto, «…non condivide…lo strumento di mediaizone come condizione di procedibilità alle procedure di separazione e divorzio», e ha proposto di «inserire il percorso di mediazione dei genitori dopo la prima udienza presidenziale, qualora in quella fase il percorso giudiziale non si riesca a trasformare in consensuale». Ritiene l’avvocato che la mediazione familiare potrebbe essere uno strumento utile per dirimere il conflitto tra la fase presidenziale e la fase istruttoria.

Certamente la mediazione familiare può rivelarsi un’utile alternativa per dirimere il conflitto prima che si passi alla battaglia della fase istruttoria. La mediazione familiare può intervenire nelle varie fasi della separazione/divorzio, a cominciare dalla maturazione della intenzione di separarsi, e sicuramente quando c’è già un contenzioso e quindi un conflitto di posizioni in atto può contribuire al superamento delle posizioni per approdare ad una gestione consensuale della separazione.

L’avvocato esperto, sostiene che «emerge una privatizzazione accentuata perché si creano figure di sostegno nella convinzione che i soggetti siano incapaci di autodeterminarsi… la mediazione familiare presenta profili di violazione di autonomia e avvantaggia chi ha maggior potere tra i due coniugi…».

La mediazione familiare non ha mai ritenuto i soggetti incapaci di autodeterminarsi, anzi ritiene l’esatto contrario. La convinzione fondamentale su cui si è sviluppata e si fonda la pratica della mediazione familiare è che nessuno meglio dei partner che si separano conosca la situazione e che quindi nessuno meglio di loro sia in grado di fronteggiare la situazione autodeterminandosi. Tra i vari modelli teorici della mediazione familiare ce ne sono alcuni che riprendono gli insegnamenti di Carl Rogers, in particolare il carattere non direttivo e non giudicante dell’intervento del mediatore, sulla premessa che gli esseri umani posseggano in sé il potenziale di crescita e la capacità di gestire le proprie relazioni e risolvere i propri conflitti. La mediazione familiare, poi, non è una pratica che può avvantaggiare uno dei due partner, sia perché è compito e dovere del mediatore gestire gli squilibri di potere, sia perché il mediatore deve tenere e mantenere una posizione neutrale e respingere ogni tentativo di alleanza dei partner.

Il Consiglio Nazionale Forense rappresentato dall’avvocato esperto, dichiara che «c’è una legge sull’affido dei minori che abbiamo fatto fatica a metabolizzare. Il problema è rendere esecutivi e effettivi i principi contenuti in quella legge…», ritiene che la mediazione obbligatoria appaia come un commissariamento. «Siamo assolutamente contrari alla mediazione familiare obbligatoria, anche studi scientifici dicono che funziona esclusivamente su base volontaria. Il testo del ddl insinua il dubbio che possa esserci anche in ipotesi di divorzi consensuali…».

Della volontarietà della mediazione familiare si è già detto, come pure del modo in cui può essere (diversamente) intesa l’obbligatorietà. Per quanto riguarda invece i principi della legge sull’affido e i divorzi consensuali bisogna considerare proprio il profilo dell’effettività: sia della regolamentazione che adotta il tribunale sulla base dei principi dell’affido, sia dell’effettività degli accordi di separazione/divorzio. La letteratura e la pratica della mediazione familiare hanno chiaramente messo in evidenza che l’effettività, e quindi il volontario rispetto delle regole stabilite, dipende dal grado di adesione del singolo soggetto. Gli accordi raggiunti con la mediazione familiare hanno una maggiore probabilità di osservanza perché scaturiscono dalla autodeterminazione dei soggetti che hanno posto quelle regole, invece la regolamentazione data dal tribunale poiché decisa ed imposta da un terzo è più spesso disattesa o violata, come pure ha una minore efficacia l’accordo consensuale raggiunto con una negoziazione indiretta avvenuta per il tramite dei rispettivi avvocati.

L’avvocato esperto, dichiara che «questo ddl obbliga i genitori a seguire un ipocrita tentativo di mediazione che viene definito volontario». L’Avvocato ritiene che il ddl violo l’art.24 della Costituzione perché la mediazione familiare obbligatoria in quanto “coattiva” viola il diritto dei cittadini ad agire in giudizio.

Effettivamente se la mediazione familiare fosse un tentativo coattivo, o mediante coazione, ad intraprendere un percorso di mediazione familiare pur in assenza di volontà delle parti, sarebbe ipocrita. Due genitori che non vogliono responsabilmente assumersi il proprio ruolo genitoriale e che vogliono proseguire nel loro conflitto personale nonostante le possibili ripercussioni sui loro figli certamente ricadono in ipocrisia se intraprendono un percorso di mediazione familiare. Che però l’obbligatorietà della mediazione familiare, posta in termini di condizione di procedibilità, e quindi in un mero tentativo di valutare un percorso alternativo per risolvere le controversie genitoriali, possa gravemente violare il diritto di agire in giudizio non è corretto. È vero, la mediazione familiare pone come condizione che il procedimento giudiziale sia sospeso durante l’esperimento della procedura, e sempre che a tale procedura poi si sia dato corso, ma è anche vero che la mediazione familiare si è sempre dichiarata alternativa e non sostitutiva all’intervento giurisdizionale, non mancando mai di evidenziare che le parti hanno il diritto di consultare i propri avvocati per valutare dal punto di vista giuridico le questioni trattate in mediazione, e soprattutto non mancando mai di ribadire che la condizione di coniuge separato si acquisisce soltanto attraverso il ricorso all’autorità giudiziaria e che non si possono derogare i diritti e i doveri previsti dalla legge per effetto del matrimonio e della filiazione. La mediazione familiare non “sottrae professionalità” agli avvocati, anzi si interfaccia con gli avvocati per il necessario complemento alle questioni che le parti intendono consensualmente risolvere e regolamentare.

Secondo i Centri antiviolenza la mediazione obbligatoria renderebbe più onerosa la separazione e metterebbe in serio pericolo donne e minori che si trovano in situazione di abusi. Le donne rischierebbero di più a causa della obbligatorietà della mediazione, e poiché circa il 90 % delle donne non denuncia la violenza, anche inserendo un comma che elimini l’obbligatorietà in caso di violenza denunciata, la maggioranza delle donne che ha subito violenza ne rimarrebbe esclusa.

Sulla onerosità della mediazione si è già detto sopra, per quanto riguarda invece il pericolo delle donne che non denunciano violenza riporto di seguito le osservazioni del mondo accademico.

Il mondo accademico (AIP e CPA) ritiene che «Per risultare efficace, dunque, la mediazione familiare ha come presupposto teorico e metodologico la adesione volontaria delle parti. …La risoluzione 2079 del 2015 dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, invita gli Stati membri a “promuovere” … in particolare istituendo una seduta informativa obbligatoria in capo al tribunale, al fine di informare sulle possibilità e i requisiti” … Perché si possa dare inizio a un iter di mediazione è necessario valutare, quindi, il livello di “mediabilità del conflitto” al fine di comprendere quali situazioni possano trarne vantaggio e quali, proprio a causa di un livello di conflittualità notevolmente elevato, non possono essere affrontate attraverso questa modalità. …La mediazione familiare è, inoltre, esplicitamente esclusa dalla Convenzione del Consiglio d’Europa [Istanbul 2011] … quando vi siano denunce per maltrattamento e violenza… La violenza assistita intrafamiliare, come dimostrano numerosi studi e ricerche nazionali e internazionali, si verifica soprattutto in nuclei familiari la cui problematicità dura da tempo e nei quali gli episodi di violenza tendono a ripetersi. … Preliminarmente, il carattere di obbligatorietà della mediazione familiare appare non in linea con l’art.48 della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica… È necessario, dunque, effettuare una corretta analisi dei contesti familiari poiché, nei casi in cui vi sia una realtà di violenza (Rossi et al., 2015), è previsto che si eviti il contatto tra il soggetto che ha subito abusi e il suo perpetratore, al fine di scoraggiare lo scatenarsi di reazioni violente che possano mettere in pericolo uno o più componenti della famiglia (Feresin et al., 2018). Che i genitori debbano essere messi a conoscenza in modo obbligatorio della mediazione è un’indicazione molto diversa, sul piano teorico e metodologico, dal rendere obbligatoria la mediazione stessa.» (Documento audizione Senato AIPA CPA).

Con il documento sopra riportato il modo accademico (Associazione Italiana di Psicologia e Conferenza della Psicologia Accademica) ha esposto alcuni profili teorici e metodologici della mediazione familiare, che molti sembrano non conoscere o ignorare. Altri profili sono stati sommariamente illustrati facendo riferimento alla letteratura in materia di mediazione familiare. C’è una comunità di mediatori familiari professionalmente preparati che ritiene che la mediazione familiare non sia né una cosa da ricchi perché onerosa, né una inutile perdita di tempo, e che invece «Per pacificare le relazioni familiari la mediazione è una risorsa preziosa, ma necessita di una formazione rigorosa e approfondita e di un costante aggiornamento» (F. Scaparro e C. Vendramini, Erikson 2018).

In conclusione, avendo riportato il testo del documento AIPA CPA di cui sono autrici e firmatarie la Prof.ssa Daniela Pajardi e la Prof.ssa Patrizia Patrizi, è doveroso manifestare loro la mia riconoscenza perché con la Prof.ssa Pajardi mi sono perfezionato in psicologia giuridica e con entrambe continuo a formarmi e ad apprendere.

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 La sospensione dei termini nel periodo feriale prevista dalla legge 7 ottobre 1969 n. 742, in quanto applicabile al termine stabilito dalla legge a pena di decadenza per la proposizione di determinate domande in giudizio, trova applicazione anche nei casi in cui la parte proponga preventivamente istanza di mediazione, in una controversia in cui la presentazione di detta istanza sia obbligatoria, ai sensi dell’art. 5 D.Lgs 4 marzo 2010 n. 28 e ss.mm..
Quanto al termine per impugnare la delibera dopo la conclusione negativa della mediazione, il condomino dispone di ulteriori trenta giorni che decorrono dalla data del deposito del verbale negativo.

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Commento a cura dell’avv. Giuseppe Ruotolo.

La terza sezione della Cassazione Civile interviene nuovamente sulla discussa questione della necessaria presenza personale della parte in mediazione e sul superamento del primo incontro.
Condividendo i principi espressi nell’unico precedente (Cass. n..8473/19), la Corte afferma che:
– la condizione di procedibilità nella mediazione obbligatoria può dirsi superata solo con la presenza personale delle parti assistite dai rispettivi difensori;
– la parte (benché ciò non sia auspicato dalla legge ma neppure escluso) può anche farsi sostituire da un proprio rappresentante sostanziale, eventualmente nella persona dello stesso difensore purché dotato di apposita procura sostanziale;
Difatti, trattandosi di attività di natura non strettamente personale, la partecipazione al procedimento di mediazione può bensì essere delegata ad altri e, quindi, anche ma non solo – al difensore. Ma affinché una delega possa considerarsi valida, «la parte deve conferirgli tale potere mediante una procura avente lo specifico oggetto della partecipazione alla mediazione e il conferimento del potere di disporre dei diritti sostanziali che ne sono oggetto (ovvero, deve essere presente un rappresentante a conoscenza dei fatti e fornito dei poteri per la soluzione della controversia).
Ne consegue che la procura conferita al difensore non potrà essere da questi autenticata perché il conferimento del potere di partecipare in sua sostituzione alla mediazione non fa parte dei possibili contenuti della procura alle liti autenticabili direttamente dal difensore.
Infine, in contrapposizione con la oramai unanime giurisprudenza di merito sul superamento del primo incontro, la Corte ritiene che la condizione di procedibilità può ritenersi realizzata al termine del primo incontro davanti al mediatore, qualora una o entrambe le parti, richieste dal mediatore dopo essere state adeguatamente informate sulla mediazione, comunichino la propria indisponibilità di procedere oltre.

Confermata l’esenzione dalle imposte ipocatastali nei trasferimenti immobiliari in mediazione

 Commissione Tributaria Regionale per la Liguria, sentenza 10.04.2019.

Commento a cura del Notaio Maria Teresa Battista.

L’accordo raggiunto in mediazione avente ad oggetto il trasferimento della proprietà di un immobile è esente da ogni spesa e tassa e quindi anche dal pagamento delle imposte catastali e ipotecarie.

Lo ha stabilito la Commissione Tributaria Regionale per la Liguria che ha confermato la sentenza di primo grado che aveva dato ragione a un notaio dinanzi al quale era stato stipulato un accordo di mediazione tra due parti per il trasferimento di alcune quote di comproprietà di un immobile.

Secondo il Notaio per l’atto in oggetto spettava un’esenzione (non solo per l’imposta di registro, nei limiti di Euro 50.000,00), ma anche per le imposte ipotecaria, catastale e di bollo richiesta.

E ciò in quanto il legislatore utilizza una formula «estremamente lata e omnicomprensiva», da riferire ad altri tributi non espressamente menzionati, così come ritenuto dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale in riferimento all’art. 19 della L .74/1987, che prevede, con una formulazione pressoché identica a quella in esame, l’esenzione «dall’imposta di bollo di registro e di ogni altra tassa» degli atti relativi ala separazione e divorzio.

Di parere opposto l’Agenzia delle Entrate, soccombente in entrambi i gradi di giudizio, che con avviso di liquidazione aveva richiesto il pagamento delle imposte ipotecarie e catastali.

Per la CTR il senso dell’art. 17 comma 2° del DLGS 28/2010, che stabilisce l’esenzione di tutti gli atti, documenti e provvedimenti relativi al procedimento dì mediazione da “ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura”, è chiaro e va inteso nel suo significato più ampio sì da ricomprendere nell’esenzione anche le imposte ipotecarie e catastali nei procedimenti di mediazione.

Consulenza tecnica in mediazione

Tribunale di Roma, ordinanza 09/11/2017 – Est. Moriconi
TAG: Mediazione delegata – responsabilità medica – consulenza tecnica in mediazione – idoneità della CTM a favorire l’accordo – vantaggi dell’accordo conciliativo rispetto al giudizio del giudice – effettivo esperimento del procedimento di mediazione – presenza delle parti – condotta e sanzioni ex artt. 91 e 96 c.p.c – dolosa renitenza ad ordine del giudice – proposta del mediatore – nomina del consulente tecnico.

 

RG 13278 / 2014

TRIBUNALE di ROMA Sez.XIII°

ORDINANZA

Il Giudice,
dott. Massimo Moriconi,
letti gli atti, osserva:
Il consulente di parte attorea, sobriamente, riconosce l’ineluttabilità dell’esito infausto derivante dall’aggressivo tumore maligno polmonare che aveva colpito V. D., ma sottolinea, correttamente, che in presenza degli errori e delle carenze che assume ed indica a carico delle due strutture sanitarie convenute, permane pur sempre il diritto al risarcimento per la perdita di chances.
Con riserva in mancanza di accordo, di disporre consulenza tecnica volta ad appurare la sussistenza degli errori (quelli indicati alle pagine cinque e nove della citazione), la imputabilità ad una o ad entrambe le strutture e in caso affermativo, la sussistenza o meno, visto il brevissimo lasso temporale, fra il ricovero e il decesso (19-31 luglio), di chances e di che natura e consistenza, si ritiene che le parti possano ricercare utilmente un accordo.
Invero, le possibilità che nel procedimento di mediazione possa scaturire un accordo sono tanto più elevate quanto più sono presenti e a disposizione delle parti, elementi fattuali e conoscitivi che possano indirizzarle quanto meno in via tendenziale verso quell’ubi consistam delle contrapposte posizioni delle parti che in molte cause, come in questa, è rappresentato primariamente dalla consulenza tecnica disposta ed acquisita.
D’altra parte se i difensori e le parti si fanno convinti, a causa di un certo generalizzato pregiudizio da parte dei giudici sulla possibilità di utilizzo della CTM (consulenza tecnica in mediazione) nella causa che segua al mancato accordo, della non convenienza ed opportunità di un tale incombente (per la correlativa spesa che comporta), si innesca una spirale viziosa in quanto la consulenza in mediazione favorisce l’accordo, ma in mancanza di accordo si ricorre al giudice che di regola non riconosce valore alla consulenza in mediazione, di talché non si pratica la consulenza in mediazione con la conseguenza che si deprime radicalmente ogni possibilità di accordo.
Il giudice ha espresso una motivata e dettagliata giurisprudenza in materia di C.T.M. (1) in particolare sui parametri che essa deve rispettare affinché possa assurgere ad utilità nella eventuale causa che segue al mancato accordo: vanno pertanto richiamati i principi fondamentali enunciati più volte in provvedimenti pubblicati sul tema, in particolare quelli attinenti al rispetto del contraddittorio ed alla tassativa esclusione della acquisizione delle dichiarazioni delle parti.

I quesiti dovranno attenere alle allegazioni di inadempimento qualificato esposte dagli attori (pagina cinque e nove).
Alle parti si assegna termine fino all’udienza di rinvio per il raggiungimento di un accordo amichevole.
Va fissato il termine di gg.15, decorrente dal 15.12.2017, per depositare presso un organismo di mediazione, a scelta delle parti congiuntamente o di quella che per prima vi proceda, la domanda di cui all’art.5 comma uno bis del decr.legisl.4.3.2010 n.28; con il vantaggio di poter pervenire rapidamente ad una conclusione, per tutte le parti vantaggiosa, anche da punto di vista economico e fiscale (cfr. art.17 e 20 del decr.legisl.4.3.2010 n.28), della controversia in atto.

Va ricordato che, come da diffusa e condivisa giurisprudenza, è richiesta l’effettiva partecipazione al procedimento di mediazione demandata, laddove per effettiva si richiede che le parti non si fermino alla sessione informativa e che oltre agli avvocati difensori, siano presenti le parti personalmente; e che se da una parte la mancata o irrituale attivazione del procedimento di mediazione attinge alla stessa procedibilità della domanda, dall’altra la mancata o irrituale partecipazione delle parti, senza giustificato motivo, al procedimento di mediazione demandata dal giudice, è comportamento valutabile nel merito della causa ex art.116 cpc, e può integrare dolosa (o gravemente colposa) renitenza ad un ordine del giudice (per quanto rileva ai fini dell’applicazione dell’art.96 III° cpc (2).
Infine, il mediatore potrà se del caso, e sull’accordo delle parti, nominare un consulente medico, iscritto nell’albo del tribunale, al fine di accertare la sussistenza e natura dei danni alla persona dell’attrice.

Infine all’esito della C.T.M. e se del caso il mediatore potrà, tenuto anche conto di quanto osservato in nota 1, formulare una proposta ai sensi dell’art.11 decr.lgsl.28/10, opportunamente tenendo conto di ogni circostanza del caso.

P.Q.M.

a scioglimento della riserva che precede,
–  AMMETTE le prove documentali delle parti;
– DISPONE che le parti procedano alla mediazione demandata, ai sensi dell’art.5 comma uno bis del decr.lgsl.28/2010, della controversia;
– INVITA i difensori delle parti ad informare i loro assistiti della presente ordinanza nei termini di cui all’art.4, co.3° decr.lgsl.28/2010, e specificamente della necessità di partecipare effettivamente e di persona (3), assistiti dai rispettivi avvocati, al procedimento di mediazione;
– INFORMA le parti che l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda ai sensi dell’art.5 cit. e che ai sensi dell’art.8 dec.lgs.28/10 la mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione comporta le conseguenze previste dalla norma stessa; e può integrare condotta dolosa o gravemente colposa ai sensi dell’art.96 III° cpc;

– VA fissato il termine dilatorio di gg.15, decorrente dal 15.12.2017, per depositare presso un organismo di mediazione, a scelta delle parti congiuntamente o di quella che per prima vi proceda, la domanda di cui all’art. 5 comma uno bis del dec.lgs.28/10;
– RINVIA all’udienza del 5.4.2018 h.9,30 per quanto di ragione.

Roma lì 09/11/2017
AVVISI a cura della cancelleria

Il Giudice dott.cons.Massimo Moriconi

 

 

(1)http://www.mediazionecatalfamo.it/2016/02/13/giurisprudenza-e-consulenze-tecniche-in-mediazione-intervista-al-dott-massimo-moriconi/

http://www.mondoadr.it/giurisprudenza/il-giudice-invita-le-parti-ad-espletare-una-consulenza-tecnica-mediazione.html
http://www.conciliazioneforense.it/wp-content/uploads/2015/04/Tribunale-Roma-consulenza-tecnica-in-mediazione.pdf

(2) Art.96 III° cpc: in ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata.
(3) Per le persone giuridiche, pubbliche o private, “di persona” va riferito al soggetto – incaricato da chi è titolare del diritto oggetto della controversia – che ne abbia, ai fini che qui interessano, la rappresentanza, con la possibilità di disporre del diritto nell’ambito dei poteri conferitigli.

 

Mediazione: necessario partecipare personalmente e superare il primo incontro. Nuovo provvedimento in dissenso con la Cass. 8473/2019

 Tribunale di Roma, sentenza 27.06.2019 – Est. Moriconi.

Commento a cura dell’Avv. Mario Antonio Stoppa, Resp. MedyaPro sede di Lecce.

La legge esclude che possa ritenersi ritualmente instaurato il procedimento di mediazione con la presenza del solo avvocato, sia pure munito di delega del cliente.

E ancora, è altresì da escludersi che la parte, assistita dall’avvocato, possa farsi sostituire da altro soggetto munito del potere di rappresentanza della parte assente di persona, salvo casi eccezionali (di impossibilità giuridica o materiale a comparire di persona).

A tale conclusione si ritiene si possa pervenire attraverso l’interpretazione letterale, sistematica e teleologica del decreto legislativo 28/2010, nonché traendo argomento dalla stessa sentenza della Suprema Corte n.8473/19 del 7.3.2019, la quale, a ben vedere e contrariamente alle conclusioni a cui giunge, predica, in armonia con le caratteristiche normative dell’istituto, la necessaria presenza personale della parte in mediazione.

Sono, in estrema sintesi, le interessanti motivazioni espresse dal dott. Moriconi in una recentissima sentenza che si pone, come il precedente del Trib. Firenze, sentenza 8.5.2019, in dissenso con i principi espressi dalla Corte di Cassazione nella sentenza 8473/19 (in senso favorevole, invece, Tribunale di Aosta, sentenza 14.4.2019 – Est. De Paola, in banca dati MedyaPro).