Mediazione familiare (per lo più sconosciuta), “roba da ricchi e inutile perditempo?”

Autore: Avvocato Luca Cenerario, Mediatore Familiare.

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La mediazione familiare è praticata in Italia sin dalla fine degli anni ’80 del secolo scorso, in altre Nazioni già da più tempo; è una pratica diffusa a livello europeo e nei sistemi di Common-Law . Ha trovato riconoscimento in differenti testi normativi e regolamentari, ci sono manuali di riferimento, ci sono Scuole di formazione a livello universitario e centri di ricerca e formazione. Tuttavia l’impressione che emerge, ad esempio dalla lettura delle dichiarazioni di coloro che operano nell’ambito della famiglia, ed in particolare di chi professionalmente si occupa di separazioni e divorzi, è quella di una scarsa conoscenza della mediazione familiare e di una tendenza ad avversare questa pratica sulla base di conoscenze spesso errate, probabilmente per il timore di subire una “sottrazione di professionalità”. Per rendersene conto si può esaminare quanto è emerso nelle “audizioni informali” tenutesi durante l’iter parlamentare che riguarda l’esame e discussione delle disposizioni in materia di tutela dei minori nell’ambito della famiglia e nei procedimenti di separazione personale dei coniugi (XVIII Legislatura). Attualmente si sta procedendo all’esame congiunto di alcuni disegni di legge (DDL n.45; DDL 118; DDL 735; DDL 768; DDL 837) che hanno ad oggetto anche la Mediazione Familiare. A scopo informativo, proverò a mettere a confronto le informazioni che i soggetti interpellati hanno dimostrato di avere sulla mediazione con delle informazioni sulla mediazione familiare che hanno fonte in documenti scientifici, normativi e regolamentari riguardanti la materia.

La Commissione parlamentare ha udito: avvocati esperti; associazioni; magistrati; psicologi; assistenti sociali; professori; esperti. Riporto in sintesi le dichiarazioni dei professionisti ascoltati e le pongo a confronto con informazioni.

Un magistrato (Questione Giustizia, 8 novembre 2018) esprime contrarietà alla mediazione familiare perché si tratterebbe di una «previsione di meccanismi onerosi e farraginosi quali quello della mediazione obbligatoria e non gratuita».  Mette in evidenza che la mediazione obbligatoria come condizione di procedibilità è prevista solo per le famiglie unite in matrimonio. Osserva che «… come ben noto… [la mediazione familiare] presuppone la partecipazione spontanea ed emotiva di chi vi giunge…» e che «… tale meccanismo, nelle questioni familiari, è generalmente impraticabile e fallimentare, atteso che gli interessi coinvolti, personali ed affettivi in primis ed il momento storico della vita di un nucleo in cui si colloca la decisione di disgregarlo (quello specifico a cui si andrebbe a sovrapporre il percorso di mediazione) spesso richiedono opportune “distanze fisiche ed emotive” tra le parti… e la conseguente necessità di tempi e distanze ontologicamente slegate dalla possibilità di trovare meccanismi di “incontro”, spesso invece rinvenibili nel corso del giudizio, e all’esito di una lenta, fisiologica e graduale elaborazione e maturazione del fallimento e della relazione….». «… i costi della mediazione, per legge non gratuita, ed ancorati a futuri parametri in via di definizione, provocano un inutile e rilevante dispendio di energie economiche delle parti, … oltre ad un allungamento dei tempi per la separazione… in secondo luogo, in spregio ad ogni utile percorso processuale che valorizzi competenze specializzate e professionalità all’interno del giudizio, o che ancora meglio si fondi sulla terzietà dell’organo giudicante, i protagonisti di tale attività mediativa non paiono offrire evidenti e reali garanzie di competenza…».

Per la Commissione di studio Anm sulle pari opportunità «…in linea astratta il principio che il conflitto familiare non debba arrivare di norma in tribunale può essere condiviso… è evidente che l’esperienza, non solo delle aule giudiziarie, insegna che allorquando tra i coniugi vi è una alta conflittualità o, comunque, l’assenza di alcuna volontà di ricorrere ad uno strumento quale la mediazione, per sua natura “volontario”, prevedere “a pena di improcedibilità” che i due coniugi debbano ricorrere ad un soggetto privato prima  di adire il giudice non fa altro che allungare i tempi di definizione delle procedure. La mancata previsione, peraltro, di eccezioni legate a particolari situazioni familiari in cui all’interno delle mura domestiche si denuncino fatti penalmente rilevanti, denota una insufficiente ponderazione di tutti i possibili interessi rilevanti». Ulteriore obiezione: «[al mediatore] non viene richiesta alcuna competenza specifica in materia…».

In quanto attività professionale la mediazione familiare è onerosa, è vero, com’è altrettanto vero che sono onerose pure la psicoterapia, la terapia di coppia, il consueling, ed in genere gli altri procedimenti ADR. È oneroso, qualora fosse introdotto, anche il ricorso al coordinatore genitoriale che, tuttavia, la magistratura non sembra avversare particolarmente. Come giustamente rileva il magistrato questo dipende però da una mancata previsione legislativa di gratuità, che potrebbe invece essere introdotta.

Non è dato comprendere perché il meccanismo della mediazione familiare sarebbe farraginoso. La mediazione familiare è un percorso che affrontano i partner, segue un modello teorico di riferimento, è strutturato secondo un processo articolato in fasi e cadenzato. Ci possono essere impasse, ma questo si verifica anche nel corso dei procedimenti giudiziari e spesso è motivo di rinvio ad altra udienza, tuttavia ciò non aggrava il percorso perché qualora le parti non riescano a superare l’impasse il processo di mediazione termina e il mediatore familiare fa prendere consapevolezza alle parti della impossibilità di prosecuzione.

La previsione dell’obbligatorietà della mediazione solo per le coppie unite in matrimonio è un limite alla mediazione che pone il legislatore, la mediazione familiare si rivolge infatti alle coppie con figli (unite in matrimonio, unite civilmente, di fatto, coppie di famiglie ricostituite) che hanno deciso di separarsi, si stanno separando, o sono già separate/divorziate. Il limite non deriva quindi dalla pratica della mediazione familiare ma dal modo in cui è formulata la norma proposta.

È assolutamente vero che la mediazione familiare presuppone la partecipazione spontanea ed emotiva di chi vi giunge, la volontarietà è anzi un principio fondamentale della mediazione familiare, tant’è che in mancanza di una dichiarata volontà di entrambi i partner ad intraprendere il percorso di mediazione familiare e di accettarne le regole (lealtà, cooperazione, riservatezza, ecc.) il mediatore familiare professionista non dà corso all’intervento che gli viene richiesto e dà invece una restituzione negativa alle parti in termini di “non mediabilità”. La volontarietà è sempre valutata e verificata dal mediatore familiare, all’inizio e nel corso dell’intero procedimento, soprattutto nei casi di “invio”. Peraltro, l’obbligo posto quale condizione di procedibilità può risultare assolto anche all’esito dell’incontro preliminare di mediazione familiare perché mancando la volontà delle parti il mediatore deve concludere per la “non mediabilità” ma il tentativo è stato comunque esperito. Peraltro, l’obbligatorietà della mediazione potrebbe essere intesa come in Inghilterra e Galles, cioè come obbligo di incontrare il mediatore al solo fine di conoscere questa opportunità ferma restando la libertà di scelta delle parti di aderirvi o meno.

Non è assolutamente vero che la mediazione nelle questioni familiari è generalmente impraticabile e fallimentare, anzi la mediazione familiare nasce proprio per aiutare coloro che devono affrontare o stanno affrontando il dramma della separazione e le sofferenze e difficoltà del processo di separazione. Storicamente la mediazione familiare fu concepita da John Coogler come percorso alternativo all’iter giudiziario, per il raggiungimento di un accordo relativo ad ogni aspetto implicato nella separazione, e con l’obiettivo di fare avvenire la separazione nel modo meno doloroso possibile per tutte le parti coinvolte.   Il percorso di mediazione non si sovrappone al momento della disgregazione del nucleo familiare, anzi si concentra sul qui ed ora per costruire un dopo. Se c’è la volontà di entrambi i partner e si arriva al riconoscimento degli interessi coinvolti, personali ed affettivi in primis, il momento della separazione diventa un momento di dialogo e cooperazione per stabilire come gestire la separazione in base alle esigenze proprie ma soprattutto a quelle dei figli. Il punto di partenza è quello di fare riappropriare entrambi i partner del loro ruolo genitoriale, superando i conflitti personali in funzione del prevalente interesse e benessere dei figli.  Nel processo di mediazione familiare le parti hanno proprio l’opportunità di sperimentare in un circoscritto lasso di tempo (adeguato, ma non lungo), la fisiologica e graduale elaborazione e maturazione del fallimento della relazione – che invece il magistrato ritiene avvenga nel corso del giudizio – al di fuori di un ambiente caratterizzato da conflittualità e posizioni di parte spesso contrapposte. Non è detto che i tempi della separazione si allunghino, anzi potrebbero ridursi perché si arriva dal giudice con un accordo e si impiegano i tempi che intercorrono tra una udienza e l’altra per lavorare in mediazione, dove gli incontri hanno cadenza quindicinale, mentre i rinvii di udienza spesso sono di alcuni mesi.

I mediatori familiari sono ritenuti incompetenti e si ritiene invece nel percorso processuale intervengano competenze specializzate e professionalità. Sicuramente i mediatori familiari non hanno le competenze professionali degli psichiatri e neuropsichiatri infantili o degli psicologi chiamati dal tribunale a rendere una CTU valutativa delle competenze genitoriali e della situazione familiare, anzi le norme deontologiche dei mediatori familiari vietano espressamente a coloro che operano quali mediatori familiari di espletare attività proprie di altre professioni anche qualora ne abbiano le competenze. Va poi considerato che tra i mediatori familiari molti provengono dalla categoria professionale degli psicologi che – secondo il ragionamento del magistrato – sarebbero specializzati e competenti in quanto psicologi ma non quali mediatori familiari. Si trascura comunque di considerare tutta la normativa, sebbene di tipo regolamentare e non normativo, che ha chiaramente individuato e delineato i percorsi formativi dei mediatori familiari e stabilito i requisiti di competenza che questi devono dimostrare di possedere.

Per quanto riguarda la mancata previsione di eccezioni all’obbligatorietà della mediazione familiare nei casi in cui sussistano particolari situazioni familiari e all’interno delle mura domestiche si denuncino fatti penalmente rilevanti, ancora una volta non è un qualcosa che dipende dalla pratica della mediazione familiare ma da una mancata previsione di legge. Anzi, vi sono condizioni ampiamente codificate nella letteratura e nella pratica della mediazione familiare in presenza delle quali non è possibile dare avvio ad un procedimento di mediazione familiare, o addirittura non può esservi ricorso alla mediazione familiare, tra queste vi rientrano innanzi tutto le situazioni in cui si riscontri o emerga: violenza domestica; abuso; intimidazione, minaccia o squilibrio di potere. Inoltre, tra le regole codificate è stabilito che l’obbligo di riservatezza del mediatore non è assoluto, deve perciò essere chiarito alle parti che qualora il mediatore ritenga che un minore o un adulto rischi un danno significativo deve informare le competenti autorità.

L’avvocato esperto, in audizione ha dichiarato che: «La mediazione familiare è una prassi che deve essere diffusa ma non deve essere resa obbligatoria perché funziona bene quando entrambi i protagonisti sono convinti della sua utilità. Il ricorso a questo strumento non deve intralciare il corso del giudizio: ci sono molti casi non mediabili rispetto ai quali è indispensabile e urgente l’intervento del giudice».

Certamente la mediazione non funziona se non è voluta dalle parti, già si è detto, ma si è anche detto che l’obbligatorietà potrebbe essere intesa e disciplinata come in Inghilterra e Galles dove l’incontro con il mediatore è obbligatorio per fare conoscere alle parti l’alternativa della mediazione, così contribuendo alla diffusione di questa pratica, ferma restando la libertà delle parti di decidere se aderirvi o meno. Per quanto riguarda l’intralcio al corso del giudizio, come detto sarà il mediatore a riscontrare situazioni di non mediabilità o impasse e porre termine al procedimento rimettendo le parti al giudice. Non può però mancarsi di considerare che alcune volte le situazioni di abuso e violenza emergono proprio nel contesto della mediazione, in un ambiente esterno e neutrale rispetto alle aule giudiziarie, dove la parte riesce a raccontare o comunque manifestare segni di un disagio nascosto. La preparazione professionale dei mediatori prevede una specifica formazione per sapere accogliere i segnali di disagio delle parti e cogliere situazioni di maltrattamento o abuso.

L’avvocato esperto, «…non condivide…lo strumento di mediaizone come condizione di procedibilità alle procedure di separazione e divorzio», e ha proposto di «inserire il percorso di mediazione dei genitori dopo la prima udienza presidenziale, qualora in quella fase il percorso giudiziale non si riesca a trasformare in consensuale». Ritiene l’avvocato che la mediazione familiare potrebbe essere uno strumento utile per dirimere il conflitto tra la fase presidenziale e la fase istruttoria.

Certamente la mediazione familiare può rivelarsi un’utile alternativa per dirimere il conflitto prima che si passi alla battaglia della fase istruttoria. La mediazione familiare può intervenire nelle varie fasi della separazione/divorzio, a cominciare dalla maturazione della intenzione di separarsi, e sicuramente quando c’è già un contenzioso e quindi un conflitto di posizioni in atto può contribuire al superamento delle posizioni per approdare ad una gestione consensuale della separazione.

L’avvocato esperto, sostiene che «emerge una privatizzazione accentuata perché si creano figure di sostegno nella convinzione che i soggetti siano incapaci di autodeterminarsi… la mediazione familiare presenta profili di violazione di autonomia e avvantaggia chi ha maggior potere tra i due coniugi…».

La mediazione familiare non ha mai ritenuto i soggetti incapaci di autodeterminarsi, anzi ritiene l’esatto contrario. La convinzione fondamentale su cui si è sviluppata e si fonda la pratica della mediazione familiare è che nessuno meglio dei partner che si separano conosca la situazione e che quindi nessuno meglio di loro sia in grado di fronteggiare la situazione autodeterminandosi. Tra i vari modelli teorici della mediazione familiare ce ne sono alcuni che riprendono gli insegnamenti di Carl Rogers, in particolare il carattere non direttivo e non giudicante dell’intervento del mediatore, sulla premessa che gli esseri umani posseggano in sé il potenziale di crescita e la capacità di gestire le proprie relazioni e risolvere i propri conflitti. La mediazione familiare, poi, non è una pratica che può avvantaggiare uno dei due partner, sia perché è compito e dovere del mediatore gestire gli squilibri di potere, sia perché il mediatore deve tenere e mantenere una posizione neutrale e respingere ogni tentativo di alleanza dei partner.

Il Consiglio Nazionale Forense rappresentato dall’avvocato esperto, dichiara che «c’è una legge sull’affido dei minori che abbiamo fatto fatica a metabolizzare. Il problema è rendere esecutivi e effettivi i principi contenuti in quella legge…», ritiene che la mediazione obbligatoria appaia come un commissariamento. «Siamo assolutamente contrari alla mediazione familiare obbligatoria, anche studi scientifici dicono che funziona esclusivamente su base volontaria. Il testo del ddl insinua il dubbio che possa esserci anche in ipotesi di divorzi consensuali…».

Della volontarietà della mediazione familiare si è già detto, come pure del modo in cui può essere (diversamente) intesa l’obbligatorietà. Per quanto riguarda invece i principi della legge sull’affido e i divorzi consensuali bisogna considerare proprio il profilo dell’effettività: sia della regolamentazione che adotta il tribunale sulla base dei principi dell’affido, sia dell’effettività degli accordi di separazione/divorzio. La letteratura e la pratica della mediazione familiare hanno chiaramente messo in evidenza che l’effettività, e quindi il volontario rispetto delle regole stabilite, dipende dal grado di adesione del singolo soggetto. Gli accordi raggiunti con la mediazione familiare hanno una maggiore probabilità di osservanza perché scaturiscono dalla autodeterminazione dei soggetti che hanno posto quelle regole, invece la regolamentazione data dal tribunale poiché decisa ed imposta da un terzo è più spesso disattesa o violata, come pure ha una minore efficacia l’accordo consensuale raggiunto con una negoziazione indiretta avvenuta per il tramite dei rispettivi avvocati.

L’avvocato esperto, dichiara che «questo ddl obbliga i genitori a seguire un ipocrita tentativo di mediazione che viene definito volontario». L’Avvocato ritiene che il ddl violo l’art.24 della Costituzione perché la mediazione familiare obbligatoria in quanto “coattiva” viola il diritto dei cittadini ad agire in giudizio.

Effettivamente se la mediazione familiare fosse un tentativo coattivo, o mediante coazione, ad intraprendere un percorso di mediazione familiare pur in assenza di volontà delle parti, sarebbe ipocrita. Due genitori che non vogliono responsabilmente assumersi il proprio ruolo genitoriale e che vogliono proseguire nel loro conflitto personale nonostante le possibili ripercussioni sui loro figli certamente ricadono in ipocrisia se intraprendono un percorso di mediazione familiare. Che però l’obbligatorietà della mediazione familiare, posta in termini di condizione di procedibilità, e quindi in un mero tentativo di valutare un percorso alternativo per risolvere le controversie genitoriali, possa gravemente violare il diritto di agire in giudizio non è corretto. È vero, la mediazione familiare pone come condizione che il procedimento giudiziale sia sospeso durante l’esperimento della procedura, e sempre che a tale procedura poi si sia dato corso, ma è anche vero che la mediazione familiare si è sempre dichiarata alternativa e non sostitutiva all’intervento giurisdizionale, non mancando mai di evidenziare che le parti hanno il diritto di consultare i propri avvocati per valutare dal punto di vista giuridico le questioni trattate in mediazione, e soprattutto non mancando mai di ribadire che la condizione di coniuge separato si acquisisce soltanto attraverso il ricorso all’autorità giudiziaria e che non si possono derogare i diritti e i doveri previsti dalla legge per effetto del matrimonio e della filiazione. La mediazione familiare non “sottrae professionalità” agli avvocati, anzi si interfaccia con gli avvocati per il necessario complemento alle questioni che le parti intendono consensualmente risolvere e regolamentare.

Secondo i Centri antiviolenza la mediazione obbligatoria renderebbe più onerosa la separazione e metterebbe in serio pericolo donne e minori che si trovano in situazione di abusi. Le donne rischierebbero di più a causa della obbligatorietà della mediazione, e poiché circa il 90 % delle donne non denuncia la violenza, anche inserendo un comma che elimini l’obbligatorietà in caso di violenza denunciata, la maggioranza delle donne che ha subito violenza ne rimarrebbe esclusa.

Sulla onerosità della mediazione si è già detto sopra, per quanto riguarda invece il pericolo delle donne che non denunciano violenza riporto di seguito le osservazioni del mondo accademico.

Il mondo accademico (AIP e CPA) ritiene che «Per risultare efficace, dunque, la mediazione familiare ha come presupposto teorico e metodologico la adesione volontaria delle parti. …La risoluzione 2079 del 2015 dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, invita gli Stati membri a “promuovere” … in particolare istituendo una seduta informativa obbligatoria in capo al tribunale, al fine di informare sulle possibilità e i requisiti” … Perché si possa dare inizio a un iter di mediazione è necessario valutare, quindi, il livello di “mediabilità del conflitto” al fine di comprendere quali situazioni possano trarne vantaggio e quali, proprio a causa di un livello di conflittualità notevolmente elevato, non possono essere affrontate attraverso questa modalità. …La mediazione familiare è, inoltre, esplicitamente esclusa dalla Convenzione del Consiglio d’Europa [Istanbul 2011] … quando vi siano denunce per maltrattamento e violenza… La violenza assistita intrafamiliare, come dimostrano numerosi studi e ricerche nazionali e internazionali, si verifica soprattutto in nuclei familiari la cui problematicità dura da tempo e nei quali gli episodi di violenza tendono a ripetersi. … Preliminarmente, il carattere di obbligatorietà della mediazione familiare appare non in linea con l’art.48 della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica… È necessario, dunque, effettuare una corretta analisi dei contesti familiari poiché, nei casi in cui vi sia una realtà di violenza (Rossi et al., 2015), è previsto che si eviti il contatto tra il soggetto che ha subito abusi e il suo perpetratore, al fine di scoraggiare lo scatenarsi di reazioni violente che possano mettere in pericolo uno o più componenti della famiglia (Feresin et al., 2018). Che i genitori debbano essere messi a conoscenza in modo obbligatorio della mediazione è un’indicazione molto diversa, sul piano teorico e metodologico, dal rendere obbligatoria la mediazione stessa.» (Documento audizione Senato AIPA CPA).

Con il documento sopra riportato il modo accademico (Associazione Italiana di Psicologia e Conferenza della Psicologia Accademica) ha esposto alcuni profili teorici e metodologici della mediazione familiare, che molti sembrano non conoscere o ignorare. Altri profili sono stati sommariamente illustrati facendo riferimento alla letteratura in materia di mediazione familiare. C’è una comunità di mediatori familiari professionalmente preparati che ritiene che la mediazione familiare non sia né una cosa da ricchi perché onerosa, né una inutile perdita di tempo, e che invece «Per pacificare le relazioni familiari la mediazione è una risorsa preziosa, ma necessita di una formazione rigorosa e approfondita e di un costante aggiornamento» (F. Scaparro e C. Vendramini, Erikson 2018).

In conclusione, avendo riportato il testo del documento AIPA CPA di cui sono autrici e firmatarie la Prof.ssa Daniela Pajardi e la Prof.ssa Patrizia Patrizi, è doveroso manifestare loro la mia riconoscenza perché con la Prof.ssa Pajardi mi sono perfezionato in psicologia giuridica e con entrambe continuo a formarmi e ad apprendere.

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